CHE COS’è L’ENDOMETRIOSI?
L’endometriosi è una malattia cronica complessa, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale (quello che normalmente riveste la parete interna dell’utero e che si sfalda durante il ciclo mestruale) in sedi anomale, come ad esempio le ovaie, le tube, il peritoneo, l’intestino, la vescica, il setto retto-vaginale, i legamenti uterosacrali, i polmoni, il diaframma, ecc. Ogni mese durante il ciclo mestruale questo tessuto va incontro ad un sanguinamento interno, producendo infiammazione cronica, focolai, aderenze e cisti.
Nel 60% dei casi l’endometriosi provoca sintomi dolorosi che tendono a peggiorare nel tempo, ad esempio dolore pelvico cronico, dolore intestinale, vescicale, all’evacuazione, durante e dopo i rapporti sessuali, sciatalgie, stitichezza, diarrea, affaticamento cronico, ecc. Tali sintomi compromettono la qualità di vita della donna e possono diventare invalidanti, rendendo difficile svolgere le normali attività quotidiane e ripercuotendosi sul lavoro, sulle relazioni sociali, familiari e di coppia, nonché sulla percezione di sé. In alcuni casi l’endometriosi compromette anche la fertilità. Vi sono poi situazioni in cui la malattia si presenta in forma pressoché asintomatica, danneggiando silenziosamente gli organi vitali.
RICEVERE UNA DIAGNOSI DI ENDOMETRIOSI
L’endometriosi è una patologia multifattoriale di cui non si conoscono ancora con certezza le cause, né i processi di sviluppo. Ad oggi non esiste una cura definitiva. Le terapie mirano per lo più alla gestione dei sintomi dolorosi e all’inibizione dell’ovulazione e vengono scelte in base alla situazione della singola paziente: possono essere prescritti anticoncezionali, progestinici o farmaci più pesanti che talvolta è necessario assumere ininterrottamente, evitando del tutto l’insorgenza del ciclo mestruale. In alcuni casi bisogna inoltre intervenire chirurgicamente in modo più o meno invasivo al fine di rimuovere focolai, aderenze, cisti, parti di organi o interi organi danneggiati dalla patologia.
L’iter diagnostico può essere particolarmente complesso in quanto l’endometriosi è una malattia ancora poco conosciuta e con sintomi spesso sovrapponibili ad altri disturbi. Bisogna anche considerare il fatto che spesso il dolore mestruale è considerato normale e ciò contribuisce a ritardare la diagnosi, la quale giunge in media dopo 9-10 anni.
Tutto questo può rappresentare per la donna un elemento di forte stress. La maggior parte delle pazienti intraprende infatti un vero e proprio pellegrinaggio da uno specialista all’altro, arrivando spesso a sviluppare vissuti di sfinimento, medicalizzazione, violazione della propria intimità. Spesso ciò avviene anche dopo la diagnosi di endometriosi: si tratta infatti di una patologia cronica e recidivante che richiede monitoraggi periodici, con adattamenti al piano terapeutico e talvolta molteplici interventi chirurgici.
Un aspetto fondamentale riguarda il rapporto medico-paziente. Le donne affette da endometriosi riportano molto spesso episodi in cui non sono state prese sul serio dallo specialista: sentirsi dire che il dolore è normale, che è solo un’esagerazione, che i sintomi sono frutto della propria mente o dello stress rischia di compromettere sia il benessere fisico della donna, che non intraprende tempestivamente le terapie e resta da sola con i suoi sintomi, sia l’equilibrio psicologico poiché può generare forti sentimenti di rabbia, ingiustizia, sconforto, colpa e vergogna.
In molti casi l’esperienza di non essere creduta o di non essere presa sul serio si ripete da un medico all’altro e anche in altri contesti come ad esempio la famiglia, la relazione di coppia, le amicizie o l’ambiente lavorativo, generando vissuti di grande malessere, minando l’autostima e contribuendo allo sviluppo di sentimenti di ingiustizia, risentimento e sfiducia difficili da superare.
L’arrivo della diagnosi può dare un’immediata sensazione di sollievo: finalmente si viene credute, è possibile dare un nome ai sintomi ed iniziare a curarsi. Ci si inizia però a scontrare anche con una serie di altre problematiche.
Spesso una prima preoccupazione è relativa alla possibilità di avere figli: talvolta la diagnosi giunge proprio a partire da difficoltà procreative e può capitare che lo specialista consigli una gravidanza come forma di cura o suggerisca di fare un figlio al più presto, senza considerare gli effettivi desideri della donna e dell’eventuale coppia, né le condizioni di vita in cui si trovano. Spesso si pensa erroneamente che l’endometriosi comprometta sempre o solo l’apparato riproduttivo e una diagnosi di questo tipo può provocare grande preoccupazione da questo punto di vista.
Indubbiamente si tratta di una malattia che costringe a fare i conti con il tema della procreazione e che può far emergere paure, dubbi, conflitti interiori o di coppia, tuttavia non è detto che ci siano effettive ripercussioni sulla possibilità di avere figli. Dunque è molto importante che lo specialista aiuti la donna a comprendere la sua situazione sanitaria, chiarendo i dubbi, rassicurando laddove possibile senza dannosi allarmismi ed esplorando insieme le possibilità di intervento laddove invece vi siano effettivi rischi a livello procreativo.
CONVIVERE CON LA MALATTIA CRONICA
Ricevere una diagnosi di endometriosi significa però soprattutto fare i conti con una malattia cronica, recidivante, per la quale attualmente non vi è una cura mirata e definitiva.
Ciò significa ad esempio doversi abituare all’idea di assumere dei farmaci, molto spesso a vita, o di dover subire una o più operazioni chirurgiche, con tutte le implicazioni del caso e con la consapevolezza che non si tratta di interventi definitivamente risolutivi. Individuare l’iter terapeutico adeguato inoltre può richiedere del tempo e bisogna imparare a conoscere e gestire gli effetti collaterali. Possono infatti emergere nuovi sintomi che richiedono ulteriori approfondimenti, può essere necessario cambiare farmaco o professionista, è necessario sottoporsi periodicamente ad esami e controlli che a lungo andare possono essere vissuti come invasivi. Gli interventi farmacologici e chirurgici possono avere avere effetti sull’umore, sul desiderio sessuale, sul peso e sull’aspetto del corpo, sull’immagine di sé e della propria femminilità, sul rapporto di coppia, sulle relazioni familiari ed amicali, sul rendimento lavorativo.
La malattia richiede inoltre l’attivazione di una serie di cambiamenti nel proprio stile di vita, legati ad esempio all’attività fisica, all’alimentazione, alla necessità di fermarsi quando il corpo lo richiede. Ciò significa intraprendere un percorso di ascolto e cura di sé, di accettazione dei propri limiti, di ricerca del proprio personale equilibrio. Spesso è anche necessario capire come gestire meglio i rapporti con le altre persone, per le quali può essere complicato comprendere quale sia il problema, cosa comporti. Dover spiegare il perché di alcuni comportamenti o limitazioni può diventare emotivamente pesante. Dunque anche dopo la diagnosi è normale provare sentimenti di sconforto, impotenza, rabbia, tristezza o paura.
Spesso quel che le donne riportano è la sensazione di non essere comprese, accettate, sostenute o rispettate dagli altri e corrono il rischio di chiudersi, di convincersi che solo chi ha la stessa diagnosi possa capire, di finire incastrate in ruoli rigidi di “malate” o di “eroine”, permettendo alla malattia di diventare il centro della propria vita. Nel momento in cui la malattia è dentro al corpo inoltre si rischia di ingaggiare una battaglia contro il corpo stesso, che diventa un nemico più che una parte di sé di cui prendersi cura.
L’accettazione della malattia passa anche attraverso l’ascolto del proprio corpo e dei propri sentimenti, in un percorso in cui ognuna impara a gestire a suo modo la parte organica, la parte emotiva, le relazioni interpersonali nel modo più soddisfacente possibile. Obiettivo è lavorare man mano per costruire un equilibrio tra i propri aspetti di fragilità ed i propri punti di forza, recuperando una buona qualità di vita.
Anche se gli aspetti emotivi e relazionali non sono la causa dell’endometriosi, essi possono influire potentemente sul modo di vivere la malattia, sulla qualità di vita e talvolta anche sull’intensità del dolore fisico. Per questo è importante prendersi cura di sé anche dal punto di vista psicologico.
Rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta, singolarmente, in coppia o facendo parte di un gruppo di sostegno, può essere utile per:
– fare l’esperienza di uno spazio accogliente, dove non si mette in discussione la realtà organica della malattia, né l’esperienza soggettiva della donna, riparando la ferita legata al non essere state credute o prese sul serio;
– tirare fuori ed elaborare le emozioni difficili che la malattia può aver fatto emergere o può aver riattivato;
– ascoltarsi individuando modi utili di gestire i sintomi e le conseguenze della malattia e delle terapie;
– imparare ad accettare le fragilità e a usare le risorse e le energie positive;
– crescere come persone senza farsi ingabbiare dalla malattia;
– riflettere sul proprio modo di funzionare e di relazionarsi per trovare modi più soddisfacenti di stare con gli altri e modi più efficaci di chiedere aiuto quando se ne ha bisogno;
– riflettere sui vissuti che la malattia può provocare nelle persone vicine;
L’equilibrio ed il benessere si costruiscono man mano, non possiamo scegliere di non avere questa malattia, ma possiamo decidere di fare qualcosa per noi stesse!
Gli incontri di sostegno e psicoterapia hanno una cadenza settimanale o quindicinale e possono rivolgersi alla singola donna o alla coppia. La durata di ciascun incontro è di 60 minuti.