In questo lungo periodo di emergenza sanitaria e di lock down ho pensato spesso a cosa avrei potuto scrivere, a quali riflessioni proporre, a quali “consigli” sarebbe stato utile dare. Siamo stati bombardati di notizie, informazioni, indicazioni e in molti hanno “detto la loro”, in modo in realtà non sempre appropriato. Personalmente ho sentito preferibile stare nella situazione e dedicare spazio all’ascolto, di me stessa e dei pazienti. Sono stati mesi in cui ho accolto emozioni e riflessioni che talvolta potevano apparire contrastanti, ma che di fatto coesistevano in una situazione che, tuttora, è per molti versi confusa. Non esistono modi “giusti” o del tutto prevedibili di affrontare quanto è accaduto e sta accadendo e come professionisti è nostro compito esserci, ascoltare, contenere tutto ciò che emerge. La crisi ha colpito a molti livelli ed è andata a toccare corde differenti in ciascuno, in base al funzionamento di personalità, alle esperienze concrete vissute, ai contesti e alle condizioni di vita.
Paura, rabbia, angoscia, delusione, noia, impotenza, confusione. Ma anche benessere, scoperta, risorse positive. Ho ascoltato il desiderio, talvolta bisogno urgente, di “tornare come prima”, esattamente così e subito, altrimenti niente. La paura che “come prima” non si tornerà più. Al contempo la paura di contagiare, contagiarsi, ripiombare nell’emergenza. La malattia come qualcosa di lontano o al contrario vissuto sulla propria pelle. Il lutto che in assenza della consueta ritualità ha dovuto trovare nuove strade di elaborazione. La rabbia per i limiti imposti, ma anche dovuta all’angoscia perché ci si è trovati esposti alla precarietà, alla perdita improvvisa, spesso senza aiuti concreti. La solitudine. La scoperta che gli altri sono importanti, ma anche che si è capaci di stare da soli. La possibilità di fermarsi e finalmente riposare, ma anche l’impossibilità di farlo perché schiacciati da un numero ancora maggiore di incombenze quotidiane. Il vuoto che in realtà è pieno di cose, la scoperta che si può stare faccia a faccia con sé stessi o che si ha troppa paura per farlo. La difficoltà a confrontarsi con l’attesa, ma anche la capacità di affrontarla perché è qualcosa che si conosce bene. La sensazione che ci sia un’energia che vorrebbe venire fuori, ma è difficile darle una forma perché ci si sente annebbiati, stanchi. La consapevolezza che senza “rumore di fondo” sono rimaste le cose essenziali, quelle importanti, ma anche che a volte sono proprio quelle a non andare come vorremmo ed è venuto il momento di occuparsene invece di continuare a scappare.
Nella crisi c’è anche l’opportunità, ma prima è normale che ci siano confusione e paura. C’è lo sconforto di chi non sa in che direzione andare. C’è la lotta di chi pesta i piedi perché non è questo quello che voleva. Arriva però anche il tempo dell’adattamento, che non significa non-vivere o vivere un surrogato di ciò che era prima, ma accettare che qualcosa è accaduto, che non esistono magiche macchine del tempo, ma possiamo provare a costruire nuovi equilibri che tengano insieme realtà e bisogni. Siamo capaci di farlo, tutta la nostra vita è stata un continuo ri-adattarsi ai cambiamenti fuori e dentro di noi. Possiamo farlo ancora, dobbiamo provarci ancora, perché nonostante tutto siamo qui, respiriamo, pensiamo, proviamo emozioni, insomma siamo vivi.
L’arte è una forma di linguaggio non verbale che da sempre permette di esprimere emozioni e punti di vista sul mondo e che può suscitare in noi riflessioni e sensazioni anche intense.
Nei musei troviamo le più alte espressioni artistiche, ma anche nel nostro piccolo l’arte può diventare un mezzo per rilassarsi ed esprimersi: basti pensare alle situazioni in cui ascoltare della musica ci fa sentire meglio o ai momenti in cui ci viene spontaneo scarabocchiare un pezzo di carta per concentrarci o per scaricare la tensione. Tutti abbiamo una parte creativa e alcune persone mantengono un contatto con essa per lavoro o per hobby, ma nella maggior parte dei casi non abbiamo tempo oppure siamo fermamente convinti di non essere capaci di creare qualcosa.
I bambini sono di solito più abituati ad esprimersi usando colori, paste modellabili, costruzioni, ma anche inventando favole e canzoni. Crescendo di solito viene loro chiesto di dedicare maggiore tempo ad altre attività o di apprendere una qualche tecnica artistica. Ad esempio a scuola si insegna ai bambini a disegnare “bene”, spesso ad essere lodati sono i lavori più ordinati, allegri e realistici: i bambini possono convincersi precocemente di non essere capaci e talvolta davanti a un foglio bianco lamentano di non sapere cosa disegnare, faticando a lasciarsi andare spontaneamente. Da adulti poi usare materiale artistico può apparirci qualcosa di infantile, di inutile o di impossibile senza il possesso di adeguate conoscenze e abilità.
In realtà l’arte è prima di tutto uno strumento di espressione di sé e quindi possiamo provare ad abbandonarci al piacere di creare per creare: non dobbiamo dare vita a un prodotto esteticamente gradevole o tecnicamente perfetto, ma semplicemente lasciarci andare. L’arte ci aiuta infatti a connettere la nostra interiorità ed il mondo esterno. Ascoltarsi e riversare liberamente su un foglio forme, colori, immagini e parole ci aiuta di per sé a scaricare la tensione e ad attivare i nostri sensi. Possiamo poi osservare la nostra opera dall’esterno, in modo più distaccato, senza “psicanalizzare”, ma più semplicemente cogliendo le nostre sensazioni durante la creazione e individuando gli aspetti del prodotto che ci incuriosiscono o che ci ricordano qualcosa di noi e della nostra vita.
Disegnare, pitturare, colorare, comporre collage, usare la creta, scrivere e fare fotografie sono alcune azioni che possono aiutarci soprattutto nei periodi di confusione e stress o quanto accadono eventi importanti che non riusciamo magari a condividere ed esprimere a parole. L’arte infatti ci permette di “tirare fuori” ciò che abbiamo dentro in modo più immediato, di osservare dall’esterno e poi di riappropriarci di ciò che è nostro in una forma diversa.
Esercizi semplici ma molto utili in tal senso sono la costruzione di un diario visivo in cui tracciare quando ne sentiamo il bisogno opere grafiche del tutto spontanee oppure dedicare pochi minuti al giorno alla scrittura delle nostre sensazioni percettive ed emotive in quel momento. Riguardare anche a distanza di tempo ciò che si è prodotto è utile per cogliere i propri stati d’animo, per scoprire nuovi aspetti di sé e per rendersi conto che nonostante le difficoltà siamo sempre in cambiamento e andiamo avanti.
Tutti noi sappiamo che le emozioni sono una parte fondamentale della vita, non solo perché provarne è inevitabile, ma perché rappresentano una sorta di bussola che aiuta a capire di cosa abbiamo bisogno. Anche se a volte ci sembra più facile ignorarle o scacciarle in fretta, anche se viviamo in una società poco capace di “stare” nell’emozione e in cui i sentimenti vengono spesso nascosti come qualcosa di inappropriato oppure urlati e sbandierati ai quattro venti, ci rendiamo conto che sarebbe importante imparare a riconoscere e gestire adeguatamente le nostre emozioni.
Anche nell’ambito dell’infanzia si parla spesso di educazione alle emozioni: i bambini non nascono con competenze emotive innate e hanno bisogno dell’aiuto degli adulti per poter acquisire la capacità di riconoscere, comprendere ed esprimere adeguatamente i loro sentimenti. Ci sono molti libri, giochi e corsi che risultano utili a questo scopo, ma lo sforzo rischia di cadere nel vuoto se l’adulto per primo è poco consapevole di come tratta le emozioni nel quotidiano.
Ad esempio è frequente incontrare genitori che vogliono dare ai propri bambini la possibilità di esprimersi liberamente, ma che poi restano spiazzati quanto ciò accade nel concreto. Ecco allora che la rabbia del bambino, il suo pianto, i suoi capricci mettono in crisi i buoni propositi: ci si sente incapaci, innervositi, stanchi, in colpa. Un bambino felice e sereno in qualche modo ci dice che siamo stati bravi e che siamo “sulla strada giusta”, mentre un bambino che esterna emozioni spiacevoli o reazioni prorompenti ci mette in discussione (e magari nel marasma di impegni quotidiani ci mette in difficoltà e ci fa perdere tempo).
Partiamo da un presupposto: i bambini come noi provano tutta la gamma delle emozioni umane, non possiamo impedirlo. Ciò che serve al bambino è che l’adulto non entri in crisi, ma ascolti, contenga e gli restituisca ciò che sta provando in modo per lui comprensibile. Insieme si potranno anche trovare modi più appropriati di esprimere le emozioni, ma se il fatto stesso che il bambino ne provi e ne esprima ci spaventa o ci infastidisce allora rischiamo di trasmettere l’idea che le emozioni non vanno bene, non sono consentite.
Che cosa ci può essere dunque di aiuto?
I bambini nascono con una naturale spinta alla curiosità e all’apprendimento: sostenerla è importante, anche attraverso l’attività della lettura. Ma che significa leggere?
Leggere non è solo riconoscere correttamente lettere e parole, ma dare un senso al testo che si osserva, riuscendo a cogliere man mano un significato d’insieme. Questa attività è importante per lo sviluppo delle capacità emotive e cognitive e può essere proposta ancor prima che il bambino abbia acquisito abilità di lettura autonome. Se con l’accesso al mondo della scuola i bambini imparano gradualmente a leggere sempre più in autonomia, già prima è possibile coinvolgerli leggendo loro storie ad alta voce o guardando e commentando insieme le immagini.
In questo senso il ruolo degli adulti diventa fondamentale: essi non solo possono favorire lo sviluppo di competenze di tipo cognitivo, ma anche stimolare l’interesse e l’amore verso i libri, i testi, le immagini. Poiché con l’ingresso nella scuola primaria il bambino deve fare uno sforzo per acquisire una serie di competenze complesse, avvicinarlo positivamente ai libri già prima può aiutare a ridurre l’emergere di un atteggiamento di avversione verso i testi scritti e favorire lo sviluppo di capacità cognitive e affettive importanti.
I bambini non vanno in questo forzati, ma possono essere ad esempio abituati ad ascoltare piccole storie prima di addormentarsi, imparare che i libri sono qualcosa di importante, da trattare con cura, un regalo piacevole osservando i loro adulti di riferimento. Anche il modo in cui si legge è importante: usare una voce calda, coinvolgente, dalla quale possano trasparire diverse tonalità emotive e differenti personaggi aiuta il bambino a sentire la lettura come un’esperienza positiva, rasserenante, appassionante.
Anche a livello cognitivo, leggere ad alta voce abitua il bambino a un vocabolario più ampio e ciò a sua volta può rendere meno complessa la lettura autonoma: ad esempio, un bambino che inizia a leggere una parola di cui conosce suono e significato probabilmente avrà più facilità nel completarla automaticamente. Se la lettura è meno difficoltosa, il bambino potrà sentirsi maggiormente invogliato a proseguire e a scoprire come continua la storia.
Soprattutto all’inizio può essere molto utile l’utilizzo di testi in cui immagini e parole sono compresenti, ad esempio i libri con illustrazioni dei momenti principali della storia, i fumetti, i racconti-rebus in cui alcune parole sono sostituite da disegni.
Anche quando il bambino sarà maggiormente in grado di leggere in autonomia, continuare a incentivare questa attività è importante: proponendo libri adatti all’età e coinvolgenti, leggendo ad alta voce al bambino, è più semplice innescare un circolo virtuoso, in cui l’esperienza piacevole e sempre meno faticosa potrà stimolare il desiderio di ripeterla nuovamente.
Oggi in molte città sono presenti diverse librerie per bambini e biblioteche pubbliche che propongono anche attività ricreative e letture ad alta voce per le diverse età. Sapere che esiste un ambiente piacevole e stimolante, a propria misura, può contribuire a invogliare ancora di più i piccoli lettori.
Circuito CLEIO librerie per ragazzi