Tutti noi sappiamo che le emozioni sono una parte fondamentale della vita, non solo perché provarne è inevitabile, ma perché rappresentano una sorta di bussola che aiuta a capire di cosa abbiamo bisogno. Anche se a volte ci sembra più facile ignorarle o scacciarle in fretta, anche se viviamo in una società poco capace di “stare” nell’emozione e in cui i sentimenti vengono spesso nascosti come qualcosa di inappropriato oppure urlati e sbandierati ai quattro venti, ci rendiamo conto che sarebbe importante imparare a riconoscere e gestire adeguatamente le nostre emozioni.
Anche nell’ambito dell’infanzia si parla spesso di educazione alle emozioni: i bambini non nascono con competenze emotive innate e hanno bisogno dell’aiuto degli adulti per poter acquisire la capacità di riconoscere, comprendere ed esprimere adeguatamente i loro sentimenti. Ci sono molti libri, giochi e corsi che risultano utili a questo scopo, ma lo sforzo rischia di cadere nel vuoto se l’adulto per primo è poco consapevole di come tratta le emozioni nel quotidiano.
Ad esempio è frequente incontrare genitori che vogliono dare ai propri bambini la possibilità di esprimersi liberamente, ma che poi restano spiazzati quanto ciò accade nel concreto. Ecco allora che la rabbia del bambino, il suo pianto, i suoi capricci mettono in crisi i buoni propositi: ci si sente incapaci, innervositi, stanchi, in colpa. Un bambino felice e sereno in qualche modo ci dice che siamo stati bravi e che siamo “sulla strada giusta”, mentre un bambino che esterna emozioni spiacevoli o reazioni prorompenti ci mette in discussione (e magari nel marasma di impegni quotidiani ci mette in difficoltà e ci fa perdere tempo).
Partiamo da un presupposto: i bambini come noi provano tutta la gamma delle emozioni umane, non possiamo impedirlo. Ciò che serve al bambino è che l’adulto non entri in crisi, ma ascolti, contenga e gli restituisca ciò che sta provando in modo per lui comprensibile. Insieme si potranno anche trovare modi più appropriati di esprimere le emozioni, ma se il fatto stesso che il bambino ne provi e ne esprima ci spaventa o ci infastidisce allora rischiamo di trasmettere l’idea che le emozioni non vanno bene, non sono consentite.
Che cosa ci può essere dunque di aiuto?
- Lavoriamo sulle nostre emozioni: mostriamo ai bambini che noi per primi siamo capaci di dare un nome alle emozioni, accettarle come qualcosa di umano, esprimerle in modo adeguato e affrontarle senza scaricarle sugli altri in modo incontrollato. I bambini si accorgono delle emozioni degli adulti e sanno bene che a volte i grandi sono incoerenti perché pretendono dai piccoli qualcosa che neppure loro sanno fare.
- Ricordiamo che i bambini sono persone: certo è piacevole avere a che fare con bambini gentili, pazienti, felici, ma i nostri bambini non sono dei ciocchi di legno! Noi ci arrabbiamo, siamo tristi, annoiati, invidiosi e lo stesso i bambini. Se noi adulti possiamo aver imparato a reprimerci magari in nome dell’educazione, i bambini sono di solito più spontanei e diretti. Tutti possiamo acquisire la capacità di esprimerci in modo appropriato senza per questo negare le emozioni. Molti bambini si domandano perché mai gli adulti possono arrabbiarsi o piangere e a loro invece sembra non essere concesso.
- Riconosciamo ciò che è nostro: un bambino arrabbiato o triste esprime qualcosa che ha dentro, non ha intenzione di farci sentire inadeguati, frustrati o in colpa, quindi se ci sentiamo così è un nostro problema e se non ce ne occupiamo finiremo per reagire in modo emotivo e incoerente e questo sarà inefficace. A che serve alzare la voce per dire al bambino di non urlare? E riversare sul bambino la nostra frustrazione perché è arrabbiato?
- Prendiamo per buoni pensieri ed emozioni dei bambini: possono sembrarci inappropriati, irrazionali, andare contro tutti i valori che cerchiamo di insegnare loro, ma sono reali. Limitarci a imporre subito il nostro punto di vista adulto a suon di “non si fa/non si pensa/non si dice” “che sciocchezza” “non è niente/non è possibile” ha il solo effetto di chiudere il dialogo. Ascoltare serve a capire e capire serve a pensare a risposte più efficaci. Anche quando il bambino non sa cosa gli accade o perché ha fatto una certa cosa ricordiamoci che il suo non lo so può essere reale: siamo noi a doverlo aiutare a fare chiarezza.
- Instauriamo un dialogo quotidiano: molti bambini avrebbero piacere di raccontarsi ma non sono abituati a farlo o sentono/temono di essere poco ascoltati. Ascoltare non significa fare un piccolo interrogatorio: Com’è andata? Tutto ok. Cosa hai fatto? Niente. Ti hanno interrogato? No. Cosa hai mangiato? Il solito. Cosa sappiamo di più di quel bambino? Praticamente niente. L’adulto che racconta per primo la sua giornata, evitando di fare l’elenco dei fatti ma raccontando qualcosa in termini emotivamente ricchi favorisce naturalmente nel bambino il piacere di raccontarsi. Allo stesso modo evitiamo di parlare solo quando accade qualcosa di brutto magari facendo ramanzine o proprio interrogatori: il bambino si chiude e quando gli accadrà qualcosa di spiacevole magari non lo racconterà e non chiederà aiuto perché si aspetterà di non essere davvero ascoltato. I bambini che cercando di sbrigarsela da soli “se no gli adulti si arrabbiano o partono in quarta” sono tantissimi.
- Alleniamo l’arte di accorgerci: osserviamo i bambini nel quotidiano per capire che persone sono, come funzionano, di cosa hanno bisogno. Quando non sapranno cosa accade dentro di loro avremo molti più strumenti per farci noi un’idea e aiutarli a capirsi meglio. Accorgiamoci anche dei bisogni e delle emozioni nascoste sotto certi comportamenti: comportamenti dispettosi, piccole bugie…se ci limitiamo a sgridare e stigmatizzare il comportamento non riusciremo a decifrare ciò che si nasconde dietro e non capire ci impedisce di fare qualcosa di utile.
- Creiamo momenti di espressione di sé anche attraverso canali quali il gioco, il disegno, la scrittura e non spaventiamoci di quello che viene fuori: se il bambino non può incanalare vissuti ed energie neppure in questi modi gli stiamo togliendo ogni possibilità di esprimersi.
- Il bambino che siamo stati è un punto di partenza: quali bisogni, pensieri, sentimenti, desideri e paure avevamo da bambini nelle varie situazioni? Se ricordiamo sarà più facile metterci nei panni del nostro bambino, perché all’occhio dell’adulto molte cose possono apparire bizzarre o esagerate ma per i bambini sono invece importanti. Non fermiamoci però al è capitato anche a me, so come ci si sente: non siamo esattamente quel bambino, non possiamo sapere se è la stessa cosa, quindi non occupiamo tutto lo spazio con la nostra esperienza ma impariamo ad ascoltare l’altro.